CRONACA DI UN GIORNO CON I DETENUTI DEL CARCERE DOZZA DI BOLOGNA

IL CIELO A STRISCE    di Stefano Laboragine
Oggi sono stato in carcere.
Prima di oltrepassare il portone d’ingresso ho avvertito subito, per istinto primordiale o per urgenza psicologica, la necessità di inalare nei polmoni quanta più aria possibile. L’apnea è un’esperienza che non richiede necessariamente gli abissi, a volte basta un Oceano di cemento e ferro a richiedere l’urgenza del respiro. Mi sono tuffato trasgredendo i rigidi controlli dell’ingresso, portando lì dentro l’ossigeno di fuori che, per quanto inquinato, lascia pur sempre sulla lingua uno strato di libertà. Le note del carcere hanno il suono del cemento: note basse in un andante adagio, a volte accompagnate da intermezzi di note alte, quelle del ferro contro ferro, dell’acciaio lucido e sverniciato. E sono porte che si chiudono a seguire passi, chiavi che girano in senso antiorario a scrivere monotoni spartiti di un’aria triste. Si cercano dettagli per il ritorno, ma il cemento ha un unico colore e l’altezza delle mura laterali non è più larga del soffitto. A terra le ombre dell’inferriate sono cruciverba. La prima finestra che incontro mi ricorda che sono in apnea, mi avvicino velocemente per il ricambio dell’ossigeno. Libero l’aria libera e inizio a respirare quella che, filtrata in quegli spazi, non lo è più. Fuori c’è un cortile a forma di cubo. Tutto sembra assumere la forma del quadrato, unica figura geometrica ad avere uguale anatomia. Il quadrato è la metafora del carcere: comunque lo giri rimane identico, come i giorni sulle pagine lente dei calendari. Alzo lo sguardo al cielo e me lo trovo disegnato in faccia: è uncielo a strisce. Entriamo nella prima sezione dove alcuni detenuti ci aspettano. In fila ci tendono una mano e ci passano un sorriso. Non sono convenevoli gesti di chi vuol mostrare il proprio grado di “riabilitazione”. E’ gioia vera o qualcosa di simile, brandelli di speranza. Sapere che fuori c’è qualcuno pronto a rendergli la vita un po’ più dignitosa trattandoli da uomini, per loro è un segnale importante. Nei loro occhi, con le pupille ristrette dalle tante ore di luce artificiale, c’è scritto grazie. A qualcuno fugge l’emozione, ma subito viene riacciuffata non appena li mettiamo a loro agio. Qui dentro non evade nulla. Descritto nei dettagli il progetto che auspica di ridipingere le celle del Dozza, gli domandiamo che cosa ancora potremmo fare per loro, affinché i loro interessi vengano in qualche modo appagati. Un indice si alza per la risposta: «Vorremmo incontrare dei disabili». Ai nostri sguardi persi nell’incredulità, si sommano quelli soddisfatti dei carcerati che muovono di nascosto sorrisi di compiacenza, e sono movimenti di faccia che hanno la fisionomia della complicità, della decisione unanime. «Perché anche noi siamo portatori di handicap. Una volta fuori, il mondo ci riserverà un’infinità di barriere che non saranno architettoniche, ma sociali, di reintegrazione. Solo chi porta addosso i segni indelebili della malattia, può comprendere le cicatrici che un ex detenuto, una volta libero, si porterà per sempre dietro”. A molti fugge l’emozione, ma questa volta è scaltra, scivola rapida sulle guance e non c’è più possibilità di riprenderla. Entriamo nelle celle da imbiancare. Sul fianco di una cella, all’interno, è disegnato e colorato un muro in un incerto trompe l'oeil. C’è un’inerzia della mente e del corpo che si può salvare solo con la creatività.
Perché in un posto dove il tutto è muro, dove il verticale e l’orizzontale si confondono, si disegna un muro? Tra l’ultima fila di mattoni è tracciato un cerchio bianco. E’ un foro, una virtuale presa d’aria. Non sufficiente al passaggio di un corpo, ma buono a scaraventarci un occhio assetato di paesaggi, di colori e di sogni. Il bianco di quel foro è lo spioncino segreto che scruta un fuori immaginario configurando giorni nuovi. Provo a guardare anch’io attraverso quello spiraglio.
Ne scopro un cielo turchese, di quelli che ricoprono le città nei primi giorni della primavera.
E’ un cielo limpido, senza strisce.

Nessun commento:

Posta un commento