LIBERO AD ALTA VOCE di Stefano Laboragine


Il 2012 è stato dichiarato dall’Onu: Anno Internazionale delle cooperative, dove il concetto della cooperazione viene valorizzato in tutte le diverse modalità, attraverso le quali il principio del “fare insieme” assuma le più disparate forme, dalla solidarietà, al lavoro, alla creatività. 
Anche quest’anno la città di Bologna è stata protagonista dell’iniziativa promossa da Coop Adriatica: “Ad alta voce”, che ha lo scopo di promuovere “Ausilio per la Cultura”: il prestito bibliotecario a domicilio per anziani e disabili, realizzato grazie all’impegno dei tanti soci volontari.
Illustri personaggi della cultura Italiana, impegnati in diverse location, hanno letto pubblicamente brani tratti da libri da loro scelti.  La manifestazione ha preso il via da uno dei più importanti luoghi storici del novecento della città: l’Archivio storico della CGIL. In un contesto che da solo racconta decenni di storia di diritti e lotte per il lavoro, si sono alternati alla lettura Ferruccio Brugnaro, Walter Passerini, Salvatore Striano e Vitaliano Trevisan. Personalità diverse per formazione, esperienze e cultura. Le letture si sono avvicendate nell’atmosfera di silenzio e rispetto che il luogo suggeriva. La scelta dei testi è stata, in una certa misura, contestualizzata allo spazio della declamazione, parlando di lavoro, di mobilità, di precariato, di sfruttamento. Senza dubbio, il personaggio che più di tutti ha richiamato la curiosità dei numerosi partecipanti è stato Salvatore Striano.
Striano, detto Sasà è un ragazzo napoletano che ha alle spalle otto anni di carcere e un vero percorso di “riabilitazione”: questa brutta parola che si adopera per indicare le attività di risalita civile e sociale dei detenuti, come se fossero degli invalidi, dei portatori di protesi che riprendono a camminare con delle gambe artificiali. Salvatore ha frequentato, con notevoli risultati, i corsi di recitazione messi a disposizione dal penitenziario e oggi è un vero attore. Ha recitato nel ruolo difficile dello “scissionista” in “Gomorra” del 2008 diretto da Matteo Garrone, ed è uno dei protagonisti di “Cesare deve morire” dei fratelli Taviani, film italiano candidato all’Oscar.
Roberto Morgantini me lo presenta.
Nei suoi occhi scuri c’è il riflesso sveglio dello scugnizzo, delle tante infanzie costruite per i vicoli complicati e stretti di Napoli, dove si nasconde tanta vita che spesso si confonde,  fino ad attecchire, col più pericoloso termine di “mala”. Ha tra le mani un libretto dalla copertina rossa che tormenta tra le dita perché ansioso di renderne pubblico il contenuto, felice di condividere con noi la storia dei giorni intensi del suo ultimo set. E’ bravo Salvatore, è la critica – prima di me – a riconoscergli le caratteristiche dell’attore “impegnato”, ma Sasà è soprattutto un esempio, l’emblema di come gli “errori” commessi dall’uomo, possono essere veicolati verso riflessi di luce più giusti, capaci di far vedere il mondo con lo sguardo e le pupille ripulite dall’opacità del male, dell’illegalità. Quante esistenze si ritrovano intrappolate nelle gabbie della punizione perché condannate dal destino, perché incapaci di immaginarsi una vita diversa? E soprattutto: quanti uomini riescono ad avere gli impulsi giusti dentro le carceri, tali da alimentargli la Speranza? Nel carcere se molli la presa sulle braccia della Speranza, sei finito, cadi nel pozzo della paura, nell’incubo del buio, non riesci a risalire, non hai futuro né dentro, né fuori dalle mura alte e dello stesso colore del penitenziario. Salvatore Striani ce l’ha fatta perché si è aggrappato con la forza alla Speranza, perché ha scoperto i libri, ha conosciuto il teatro, si è – con i sacrifici e le rinunce – “inventato” il futuro. Ora il futuro è il “suo” presente, suo perché lo ha conquistato da solo, con la sete di riscatto. Voglio pensare che l’esperienza di questo ragazzo, diventi la speranza per i tanti giovani che non riescono più a inventarsi un sogno.

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