ERRI - di Stefano Laboragine - labo'


Sporadicamente mi prendo la licenza di interferire su questo blog, che dovrebbe interessarsi principalmente di arte, con tematiche altre che irresistibilmente voglio condividere con chiunque si trovi a curiosare tra i miei post. Sì, lo ammetto già le layout hanno poco a che fare con la mia pittura, ma forse nel loro sarcastico e ironico contenuto (ammesso che sia ironico… alcuni sono drammatici) c’è qualcosa di artistico, di dissacrante, almeno nei titoli. Questa volta voglio parlarvi di uno scrittore, un grande scrittore ma soprattutto un grande uomo. E’ il mio preferito e non solo perché napoletano, ma perché lui di storie da raccontare ne ha davvero tante e tutte vissute sulle spalle, incise nella pelle sottile che gli protegge il viso ossuto e sereno che ha la fortuna di avere. Parlo di Erri De Luca, alter ego dei miei giorni passati e di quelli a venire. De Luca è noto al panorama letterario italiano, e non solo, per la sua straordinaria qualità narrativa che gli viene riconosciuta anche da premi importanti (che lui rifiuta di ritirare), ma anche per le sue vicende personali: a diciotto anni, nel 1968, si trasferisce a Roma. Qui, abbraccia l'azione politica, respingendo la carriera diplomatica alla quale era avviato. Negli anni '70, è dirigente attivo in seno al movimento d'estrema sinistra Lotta Continua diretto da Adriano Sofri. In seguito lavora come operaio qualificato alla FIAT, come magazziniere all'aeroporto di Catania, camionista, poi muratore, e come tale lavorerà in diversi cantieri francesi, africani e italiani. Benché non avesse smesso di scrivere dall'età di vent'anni, il suo primo libro, Non ora, non qui, è pubblicato in Italia soltanto nel 1989. Ha praticamente quarant'anni al momento di questa prima pubblicazione e continua a lavorare nell'edilizia. Durante la guerra nella ex Iugoslavia, è conducente di convogli umanitari a destinazione della popolazione bosniaca. Ha imparato numerose lingue da autodidatta, tra cui lo yiddish e l'ebraico per tradurre la Bibbia, alla quale dedica ogni giorno un'ora di lettura, anche se si dichiara non credente. Io De Luca lo porto al lavoro: nella mia borsa non mi faccio mai mancare un suo scritto. Il bello dei suoi libri(solitamente non superiori alle centoventi pagine) è che si fanno consumare lentamente, ti avvolgono nella poetica come cera e non hai voglia di divorarli subito; sono come un vino invecchiato di anni o un buon sigaro: vanno assaporati. Assorbi tutte le parole con la calma e la lentezza che meritano, perché ti restino impressi tutti i sapori, perché ti lascino tracce irripetibili. Io De Luca lo “mangio” nella pausa pranzo assieme al panino. Leggerlo in quella mezz’ora è come una carezza paterna, è come l’abbraccio di un amico vero, è come una compagna che sai non tradirà mai i tuoi sogni, e parola dopo parola, ingoio tutte le lettere, tutte le virgole. Bastano poche pagine a saziarmi…

"Sono rimasto a fare l’operaio, là dove avevo cominciato. Mi spinge a questo mestiere solo il desiderio di restare a farlo fino all’ultimo giorno.” Hai conservato a lungo un corpo teso, veloce. “E’ frutto del lavoro manuale, anche se il termine non è esatto, non è nelle mani la fatica. Preferisco chiamarlo lavoro dorsale, è lì che si accumula lo sforzo. Alla sera nel letto risento sulle costole i quintali che mi sono passati addosso. Le mani non penano al lavoro, ma una schiena che è rimasta china o sotto carico tutto il giorno è solo un fascio di nervi indolenziti. Perciò li chiamano lavori dorsali. Con gli anni la cadenza della fatica è entrata nel sangue, la vena batte i colpi necessari, il corpo si conforma allo sforzo. In quelle ore riesco ad accogliere pensieri, c’è un tempo per loro sotto il respiro corto, sotto il sudore. Passano parole in viaggio, appunti che trattengo a mente e mi fanno compagnia. D’improvviso sul cantiere un operaio sotto un lavoro intenso attacca un canto, un’allegria impossibile. E’ lo sfiato di un pensiero uscito dai colpi regolari, mentre spala macerie o attacca calce con il colpo rapido del polso: un ritmo di respiro gli ha ricordato una frase, una strofa e lui la canta. Nessuno lo segue, ma lui continua finché ha smaltito lo spunto salito da uno sforzo. Invece io non canto, rigiro in testa qualche frase e la conservo fino all’ora di uscita” (da Aceto, Arcobaleno, di E. De Luca ed. Feltrinelli)

http://www.youtube.com/watch?v=1y-BC1uJxUc

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